Se state pensando che sia finalmente arrivato il momento di compiere il grande passo, certo non vi farà piacere leggere questa notizia: in costante crescita il numero dei fallimenti coniugali nel nostro paese. Ma questo vuole essere un invito alla riflessione. Il matrimonio può tornare ad essere uno dei pilastri della società o è destinato a perdere il passo davanti all’incedere delle unioni di fatto, più consone alle esigenze contemporanee e percepite come “meno definitive”?
E’ stato reso noto un rapporto dell’Istat dal quale emerge che il numero delle separazioni e dei divorzi in Italia è in costante aumento. Nel periodo 2007-2008 sono aumentati rispettivamente del 3,4% e del 7,3%. Entrambi i fenomeni sono in continua crescita. La durata media del matrimonio, al momento della separazione, è di 15 anni mentre per i divorzi di 18 anni. L’età media alla separazione, aumentata negli anni anche a causa di matrimoni contratti sempre più tardi, è di 45 anni per i mariti e di 41 per le mogli. In caso di divorzio raggiungono rispettivamente 46 e 43 anni. A livello regionale continua ad evidenziarsi un divario tra nord e sud, più solide le coppie meridionali. Di solito il procedimento scelto dai coniugi è quello consensuale, scelto nell’86,3% dei casi.
Guardando al fenomeno in un’ottica di lungo periodo, rispetto al 1995 le separazioni sono praticamente raddoppiate (+101%) e i divorzi sono aumentati di oltre una volta e mezza (+61%). L’aumento delle separazioni riguarda anche le coppie miste ma con ritmi ridotti. L’apice si è toccato nel 2005 quando erano state 7.536 contro le 4.266 del 2000, con un incremento quindi del 76,7%. Le crisi coniugali coinvolgono sempre più spesso unioni di lunga durata: le separazioni oltre i 10 anni di matrimonio sono più che raddoppiate dal 1995 ad oggi, quelle oltre i 25 anni quasi triplicate. In termini relativi risulta diminuita la quota di separazioni prima del quinto anno di matrimonio (dal 24% del 1995 al 17% del 2008). Il fatto che l’aumento delle separazioni avvenga in un contesto in cui i matrimoni diminuiscono sembrerebbe imputabile ad un effettivo aumento della propensione alla rottura dell’unione coniugale, sempre meno percepita dai coniugi come “definitiva”.
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