Le belle storie d’amore non solo solo quelle raccontate nell’indimenticabile film de La vita è bella, cult movie del cinema italiano di Roberto Benigni, Oscar 1999. La vita è bella anche per Jerzy Bielecki ex deportato che per la sua epica impresa amorosa fu soprannominato il Romeo di Auschwitz. E’ una storia d’amore a lieto fine ma che non finisce con il vissero tutti felici e contenti.
Prima di spegnersi, all’età di 90 anni, ha dichiarato il suo eterno amore per quella che non è diventata mai sua sposa:
Sì, l’ ho amata molto, moltissimo. Per tutti questi anni, non è mai stata con me. Ma un po’ lo è stata. L’ ho sognata migliaia di notti. Mi svegliavo piangendo. Lavoravo piangendo. Camminavo piangendo. Io e lei avevamo deciso il nostro destino. E il destino alla fine ha deciso per noi…
Lui, deportato a Auschwitz numero 243 e lei deportata numero 29558 (perchè nel campo di concentramento nazista non si era altro che numeri) s’innamorano e decidono di tentare l’incredibile fuga. Jerzy, che era veterano del lagor e soldato polacco fatto prigioniero aveva un piano rischioso ma attuabile.
Ero un anziano del lager e stando all’ officina avevo un po’ di libertà di movimento. Preparai il piano con cura. Un giorno l’ avvicinai e le dissi: “Della tua famiglia, sei rimasta solo tu. Forse riesco a salvarti. Verrà a prenderti un ufficiale tedesco… All’ inizio non voleva, poi la convinsi.
ma quell’ufficiale tedesco arriva veramente: era Jerzy che aveva rubato di nascosto una divisa rubata in lavanderia e con un pass in tasca.
Dopo dieci giorni di fuga a piedi i loro destini si dividono per sempre: Cyla decide di trovare rifugio in una fattoria, Jerzy raggiunge la resistenza. D’allora perdono tutti i contatti, lui torna in Polonia, lei si trasferisce in Svezia e dopo a New York. Quasi 40 anni dopo, per caso, mentre Cyla chiacchiera con la sua domestica polacca che aveva ascoltato la versione di Jerzy in televisione, scopre che l’uomo era ancora vivo.
I due si rivedono a Cracovia, lei tenta di riconquistarlo ma Jackie capisce che ormai la vita l’ha consumato e di quel ricordo non rimane che un tatuaggio sbiadito sul braccio. Ma aveva portato con se 39 rose rosse, come gli anni di lontananza dalla sua piccola Cyla. Perchè anche ad Auschwitz la vita è bella.