Lo scorso venerdì ben oltre quattrocento spose indiane si sono recate a Madhya Pradesh, Stato dell’India centrale, per unirsi in matrimonio al loro consorte in un rito di massa, il Mukhyamantri Kanyadan Yojana (MKY). Il rito matrimoniale, voluto dal governo con l’intento di azzerare i costi per i futuri sposi e dare loro un piccolo contributo, ha condotto gli sposi verso un’ultima prova da superare: la prova della verginità della sposa e la dimostrazione di non essere in stato interessante.
Il rito di massa, una celebrazione molto in voga in India, soprattutto nell’ultimo periodo, ha coinvolto, solo in questo rito, oltre quattrocento coppie che si sono recate all’ente governativo per richiedere l’autorizzazione al matrimonio e assicurarsi che venisse riconosciuto loro il bonus degli sposi, un cesto di prodotti (dai piatti per la cucina alla bicicletta per i coniugi) dal valore di oltre 200 dollari, un piccolo contributo atto a gettare le fondamenta del loro nido d’amore e a poter costruire insieme una nuova famiglia.
Purtroppo, nulla viene dato per niente. Le spose presenti al rito hanno dovuto presenziare al loro test della verginità, una prova che ha coinvolto le autorità mediche e il dipartimento della salute statale che ha voluto visitare personalmente le spose e valutare la loro purezza e assicurarsi che le spose presenti al rito con abbiano scelto di tradire la generosità del governo richiedendo benefici che a loro non sarebbero stati riconosciuti. Risultato?
Il bonus degli sposi, così come la possibilità di partecipare a un rito di massa, agirebbe infatti da deterrente: a fronte di qualche aiuto economico, le coppie dovrebbero astenersi dal fare sesso prima del matrimonio e, soprattutto, di aspettare un figlio prima di unirsi in matrimonio. E’ giusto o sbagliato? L’Occidente condanna mentre l’Oriente, partecipativo e bisognoso, accoglie.
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